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Interfacce vs. Interspazi

Scritto da simon.
Domenica 17 Febbraio 2008, 11:45 am.

 

Disegnare il mondo circostante e rappresentare in forma espressiva l'idea è da sempre una delle prerogative dell’intelletto umano. La rappresentazione conduce a definire dei modelli, soprattutto in architettura, nei quali geometrie e caratteristiche intrinseche del soggetto sono spesso indicate con raffigurazioni bidimensionali, comunque legate al mezzo che può trasmetterle, sia esso un foglio di carta, una pittura murale od uno schermo elettronico. Anche la pratica di progetto edilizio non si è ancora definitivamente slegata dalla proiezione ortogonale come mezzo di comunicazione e creazione. Ne è prova il fatto che perfino i più moderni sistemi CAD sono dipendenti da monitor piatti o wide screens dove la coordinata di profondità può solo essere intuita variando le viste dei modelli, o dove la creazione di primitive solide tridimensionali è una derivazione estrusiva della loro vista di pianta o prospetto. Esistono però delle nuove tecnologie, mutuate in massima parte dal disegno meccanico molto più avanzato, che potrebbero garantire nei prossimi anni uno sviluppo concettuale notevole alla modalità di progettare lo spazio attualmente radicata.

Sin dall'antichità, la rappresentazione del mondo che ci circonda è stata influenzata non solo dalla percezione soggettiva della realtà, ma anche dalla metodologia utilizzata per raffigurare.
Che si ammiri la complessa lettura spaziale dei geroglifici egizi, ricchi di interessanti ribaltamenti grafici, o che si apprezzi come in epoca più tarda il lavoro di abili disegnatori romani abbia concretizzato una espressione primigenia di trompe-l'oeil nei decori di svariati interni di ville o residenze patrizie, si può apprezzare lo sforzo che da sempre ha distinto chi si è impegnato nel tracciare con un semplice segno sulla pietra o con più complessi simboli di codifica, il mondo reale e circostante. Secondo Plinio, un certo Ludius o Studius (incerto il nome) fu il primo ad introdurre una decorazione parietale che rappresentasse idilliache ville immerse in un paesaggio di vegetazione verde e rigogliosa, il locus amoenus.
Le tecniche di raffigurazione poi si sono nel tempo avvicendate inaugurando nuovi modi di interpretare lo spazio, soprattutto in architettura con le "visioni" prospettiche di un Piranesi o le astrazioni concettuali delle avanguardie, per arrivare alla modernità del secolo scorso, sempre e comunque rivolgendo l'attenzione alla comunicazione grafica di progetti ed idee, non solo alla presentazione del reale.
Tuttavia, pur essendo immersi in una realtà tridimensionale, ancora oggi chi è chiamato a descrivere il mondo sensibile dell'architettura si trova a dover fare i conti con un metodo di rappresentazione ancora legato al concetto di proiezione ortogonale. Ci si confronta sempre con le due dimensioni, con lo schiacciamento su piani della coordinata di profondità. Anche la progettazione più avanzata, quella che ricorre al calcolatore elettronico ed ai software CAD evoluti deve necessariamente affrontare questa situazione. Pensare in tre dimensioni e disegnare in due appare ancora come l’unico modo di procedere nel flusso di progetto.
Persino gli strumenti della rappresentazione non sono poi così tanto cambiati se osservati in un'ottica dimensionale: la superficie di pietra è divenuta papiro, tavoletta di argilla, parete da affresco, carta, fotografia ed infine monitor grafico; il pixel ha sostituito il segno della grafite o del colore steso a pennello, ma sempre definendo una rappresentazione della realtà piatta.
Dunque l'interfaccia grafica dei calcolatori risente di questo approccio; abbiamo sistemi operativi che lavorano per metafore iconiche, proiettandoci su scrivanie virtuali in grado di "simulare" l'ambiente di ufficio e i documenti da elaborare, tuttavia siamo ancora schiacciati dal fardello della planarità.
I modellatori poi, che in architettura ci consentono di esplorare forme ardite in spazi geometrici sempre più complessi, ci consentono di disegnare ancora una volta in un "fittizio" ambiente tridimensionale, nel quale i componenti sono modellati sempre a partire da sezioni o prospetti su piani, mediante estrusioni o rivoluzioni anche complesse, tuttavia ancora originatesi da una base 2D.
L'architettura al contrario è spazio, o perfino realtà simulata; il passo che si dovrebbe stendere in questa epoca è quello di condurla verso un passaggio, verso un cambiamento destinato a portare nuovi metodi di raffigurazione per lo spazio stesso.
Questa metamorfosi dovrebbe scaturire prima di tutto dagli strumenti del disegno. Tavolette grafiche e monitor destinati a visualizzare le console dei software dovrebbero cedere il passo a nuovi mezzi di comunicazione, atti non solo a mostrare ma pure a plasmare direttamente il disegno di progetto.
Il CAD fino ad ora utilizzato è assimilabile alla pittura seppure di natura molto più tecnica: dovrebbe divenire scultura introducendo la profondità sin dall'interfaccia macchina/progettista.
Non è una barriera tecnologica quella che ostacola questo salto, ma un vero e proprio cambiamento concettuale in termini di creazione del progetto: "pensare in 3D" potrebbe divenire "disegnare il pensiero in 3D", slegandosi dalla schiavitù della proiezione intermedia.
I dispositivi già potrebbero esistere, dal momento che sono da alcuni anni allo studio tecnologie in grado di visualizzare immagini digitali su superfici o volumi non convenzionali.
La Cambridge Display Technologies ad esempio, sta sviluppando degli schermi LEP (Light Emitting Polymers) derivati da polimeri plastici in grado non più come nel passato di visualizzare soltanto immagini monocromatiche in rosso, verde o blu, ma di combinare le tre cromie, generando l'intera gamma di colori RGB. Il grande vantaggio è la plasticità e il dinamismo del supporto, in grado di garantire deformabilità e morbidezza, utili per generare superfici di visualizzazione e non più solo piani.
Al contrario dei più comuni LCD (Liquid Cristal Display) poi, gli schermi LEP sono visibili da ogni angolo, eliminando di fatto quelle noiose zone d'ombra. In architettura sono stati tra gli altri usati come elemento progettuale dal gruppo di progettisti italiani Ghigos, che ne hanno proposto l'impiego come tendaggi multimediali nel loro concept per la realizzazione di aule didattiche. Sarebbero probabilmente ancora più interessanti se utilizzati come strumento di progetto, sfruttandone la versatilità per visualizzare dinamismi architettonici dall'interno, ancora nella fase di ideazione. Tale progettazione immersiva potrebbe configurarsi come prodromica alla realtà virtuale così come immaginata in diverse opere cinematografiche.
Per la verità, studi su applicazioni di VR vengono condotti già da anni, famosi gli ambienti immersivi teorizzati da Sachs, Roberts e Stoops per il loro 3D-Draw, un pacchetto software dove le mani del progettista potevano utilizzare puntatori a 6 gradi di libertà per tracciare linee e superfici, ruotando il modello su schermi convenzionali. Tutto considerato però superfici LEP o simulatori VR sono ancora legati a proiezioni bidimensionali.
Il salto tecnologico-concettuale potrebbe aversi invece con simulazioni spaziali olografiche; questa tecnologia permetterebbe di proiettare un fascio di luce sopra un mezzo traslucido per generare una immagine tridimensionale sospesa davanti all'operatore. Esperimenti sono stati condotti dirigendo fasci di luce concentrata su “lamine” di aria calda, ma i risultati più interessanti sono stati ottenuti dal Japanese National Institute of Advanced Industrial Science and Technology (AIST). In sintesi gli studiosi giapponesi hanno messo a punto un sistema di fasci laser in grado di concentrarsi in un determinato punto dello spazio, individuato dall’orientamento di lenti su supporti motorizzati, producendo punti di plasma; in altre parole, generando piccole regioni luminose di aria ionizzata. Sebbene la tecnologia debba essere ancora raffinata, potrebbe trattarsi di un passo importante nella generazione di una discretizzazione di immagini simili ai voxel, ovvero pixel volumetrici.
Ancorchè futuristica, l'ipotesi potrebbe configurarsi come uno strumento d'eccellenza per il progetto di architettura. Se ne immaginino brevemente le conseguenze. Si valuti a titolo di paragone come opera una apparecchiatura di rilievo laser ambientale: la scansione dello spazio reale viene effettuata mediante un apparato ottico che emettendo fasci di luce concentrata, ne riceve il riflesso di ritorno, calcolandone distanza ed angolazione mediante il time-of-flight, ossia l’intervallo di tempo che intercorre tra l’impulso laser trasmesso e l’impulso ricevuto. Il segnale elettrico prodotto dal generatore crea infatti un raggio di luce infrarossa; il segnale degli eco riflessi dall’oggetto colpito, di differente intensità in base alla riflettanza di quest’ultimo, viene recepito da un fotodiodo ricevitore che genera un segnale di ricezione, permettendo l’archiviazione dell’informazione in files digitali costituiti da coordinate di nuvole di punti.
Se lo strumento è poi molto sofisticato, oltre a posizione e riflettanza può misurare mediante a sensori CCD anche la cromia del materiale colpito dal fascio laser, restituendo un’immagine che se sufficientemente dettagliata (quindi con intervalli di scansione molto ravvicinati) può essere rasterizzata ad esempio per generare un’ortofoto. Si perviene dunque ad una forma di rappresentazione del reale dal tridimensionale all’usuale “formato in due dimensioni”.
Procedendo al contrario e con il display ionizzante invece, si immagini che i voxel di plasma fossero talmente piccoli e colorati così da simulare ciò che i pixel compongono nei convenzionali monitor LCD o CRT. Si avrebbe un modello apprezzabile anche nelle sue coordinate di profondità, in grado ad esempio di mostrare materiali o geometrie di progetto direttamente in 3D real time, senza il passaggio per il rendering che tanto ha preso piede nel workflow di progettazione contemporaneo. Il database di dati spaziali ottenuti dallo strumento di rilievo potrebbe integrarsi con il nuovo medium restituendo una nuova visione di lettura per i dati acquisiti. Il passo successivo potrebbe essere l’interattività per progettare spazi e volumi; poter interagire con una rappresentazione olografica mediante puntatori o addirittura guanti muniti di sensori, semplificherebbe di molto la stesura delle concettualizzazioni di progetto, oltre a permettere una verifica istantanea delle corrispondenze spaziali dei solidi generati: infatti sia nella pratica preliminare che nella fase esecutiva capita che soluzioni all’apparenza ottimali in pianta o in alzato, si rivelino poi improponibili o addirittura sbagliate nella loro configurazione tridimensionale.
Con una interazione diretta il modello potrebbe essere ruotato e manipolato attorno a qualunque asse, permettendo visualizzazioni molto più complete.
Non rimane che sperimentare e sviluppare questi nuovi approcci alla rappresentazione, con spirito critico certamente ma anche con curiosità, per ricercare ancora una volta e con originalità, quel modo di tracciare le linee ed i contorni del locus amoenus che gli antichi hanno insegnato ad idealizzare.

 

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